5. Uno spazio tradizionale per il canto femminile: i lamenti funebri

 

Quello del lamento funebre è uno "spazio" nel quale si udivano le voci delle donne (vedi Alvar; Larrea Palacìn; Molho 1950: 180-181; Weich-Shahak 1989b: 154-157, 1992: 57). Nessuna sorpresa, visto che l'esecuzione femminile dei lamenti in occasione di eventi luttuosi è una caratteristica ritrovata nella maggior parte delle culture, inclusa l'antica cultura ebraica. Lo studio pioneristico di Suliteanu (1972) sui lamenti yiddish della Romania è una testimonianza di questo fenomeno tra le donne ebree askenazite.

In contrasto con la tesi che con condiscendenza considera le donne quali lamentatrici professioniste in quanto esse non sanno controllare le loro emozioni, Tolbert suggerisce "che esprimere le emozioni nell'esecuzione del lamento è un'espressione di potere" (1990: 44). Il lamento funebre è una ragione per cui Hasan-Rokem (1995: 97) sostiene che è la voce delle donne quella che si sente dentro e tra le righe dell'antica midrash (opuscolo esegetico) Ekha (Lamentazioni) rabba.

In uno studio della poesia funebre sefardita Gutwirth (1993) ha argomentato in favore del "carattere femminile" della poesia funebre medievale in giudeo-ispanico in base all'analisi di una canzone di questo genere trovata in un manoscritto del sedicesimo secolo dal Genizah del Cairo. La canzone si basa su di un motivo letterario proveniente dall'antica letteratura, "la madre che divora il bambino" già trovato nella Bibbia (2 Re 6, 25-29, Ezra 5, 10; Lamentazioni 2, 20), nella letteratura midrascica (Ekha rabba 1, 15; Yalkut Ekha 1; Pesiqta rabbati 29) come pure nella Guerra dei Giudei di Josephus. Il poema è sopravvissuto nella tradizione orale dei Giudei di Tetuán (Alvar 1969, 161 ss.; Larrea Palacìn 1954, n. 80 e 172; Díaz-Mas 1982, 186 ss.). Nella tradizione scritta il centro della scena è costituito dall'orrore degli attori maschili che scoprono che lo squisito aroma da cui è stato stimolato il loro appetito è un bambino arrosto. Questo motivo fu conservato nella tradizione maschile paraliturgica (Najara 1946: 474 ss.), che enfatizza la crudeltà della madre piuttosto che il figlio quale oggetto della fissazione di lei. Nella versione orale, ancora cantata nella commemorazione festiva del nono giorno dell'Av, protagonista è una donna (impersonata da una lamentatrice semi-professionista), le circostanze tradizionali della rappresentazione manifestano un'ottica femminile (i funerali di una donna di eccezionale longevità i cui figli sono vivi al tempo del funerale) e la struttura della storia (la preghiera, ad esempio, del figlio sacrificato alla madre ammutolita di non mangiare i suoi occhi, con i quali aveva studiato la legge) evidenzia una tradizione fortemente orientata in senso femminile. Questa carattere femminile risale alla versione della canzone trovata nella Genizah, caratterizzata dall'esclusione dei personaggi maschili estranei alla vicenda.

L'esecuzione di lamenti e canti funebri è davvero uno dei più importanti ambiti riservati alle donne sefardite ed è una tradizione che risale alla Spagna medievale. Gli incipit dei canti funebri in spagnolo, la maggior parte appartenenti al repertorio delle donne, furono individuati in un manoscritto di poemi funebri in ebraico (Yahalom) del quindicesimo secolo. Le plañideras, ebree, cantanti professioniste dei lamenti, sono citate in testi della Spagna medievale (Angles 1968: 52-53). I rabbini difesero questa consuetudine malgrado contrastasse con l'approccio talmudico alla voce femminile. Il responso n. 158 di Rabbi Isaac ben Sheshet (1326-1407) è un esempio di questa difesa:

In Zarakasta [probabilmente Saragozza] le lamentatrici andavano di solito in sinagoga durante tutti i sette giorni del lutto per servizi mattutini e serali, anche del primo sabato e dei giorni feriali, e dopo la preghiera, quando esse ritornano alle loro case seguite dalla maggior parte della congregazione, che le accompagna fino all'entrata del cortile, la lamentatrice rianima quelli che l'attorniano e suona un tamburo che ha in mano e le [altre] donne emettono lamenti e battono le mani e poiché questo è fatto in onore del defunto la loro consuetudine non dovrebbe essere abolita (Sheshet 1993/I: 167).

Il ruolo delle donne sefardite come esecutrici di lamenti continuò con forza nella tradizione orale delle comunità del nord del Marocco (vedi Alvar; Larrea Palacìn Weich-Shahak 1989b; per le cantanti funebri di stirpe ebraica fra i conversi, vedi Levine 1991) mentre si impoverì nei centri ottomani (vedi comunque Molko 1950: 180-181).


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