2. Le donne: le grandi assenti nella ricerca musicale ebraica

 

La segregazione delle voci femminili e l'incapacità, per la maggioranza delle donne, di leggere testi scritti, le escluse dalla partecipazione attiva ai riti istituzionali del giudaismo. Tali riti costituiscono la parte prevalente delle occasioni sociali nelle quali si faceva musica in una tradizionale comunità giudaica.

I musicologi hanno perpetuato questa segregazione trattando separatamente i repertori femminili e quelli maschili, in base ad una serie di dicotomie fondate: a) sulla lingua dei testi delle canzoni (ebraico per gli uomini/dialetti giudaici per le donne); b) sui contesti delle esecuzioni (ciclo dell'anno per gli uomini/ciclo della vita per le donne) e c) sullo stile (recitativo, cantillazione, tradizione musicale " alta" per gli uomini/canzoni popolari, tradizione musicale "bassa" per le donne). Quando la componente orale della musica ebraica fu riconosciuta come una risorsa vitale e, a partire dalla fine del diciannovesimo secolo, cominciò ad essere documentata, le depositarie di questo sapere, le donne, furono praticamente escluse dal dibattito degli studiosi.

Il testo a tutt'oggi più prestigioso sulla musica ebraica (Idelsohn 1929) limita la sua trattazione delle donne a circa quattro [!] affermazioni: 1) " Non è rintracciabile in nessun luogo la partecipazione delle donne al coro del [secondo] Tempio"; 2) "Le donne sono escluse dalla partecipazione alla musica religiosa"; 3) " Le donne [yemenite] sono escluse dalle danze: i festeggiamenti hanno luogo solo tra gruppi di uomini; 4) "Le donne [ebree dell'Europa orientale] erano generalmente tenute in casa, escluse dall'istruzione nelle dottrine ebraiche. Esse ricevevano un'educazione morale e religiosa dalle loro madri e dai libri scritti in yiddish e aspettavano il matrimonio ideale con un uomo ben esperto della Torah ma del tutto impreparato nelle faccende di questo mondo. La sposa sapeva che nella maggioranza dei casi sarebbe stata destinata ad aiutare il marito a guadagnarsi da vivere... Furono tutte queste amare esperienze di vita a colpire in primo luogo la donna ebrea e a trovare espressione nel suo canto... Questi canti sono in uno stile patetico, di una disperata tristezza" (Idelsohn 1929: 16, 27, 370 e 394-395 rispettivamente). Agli occhi di Idelsohn una donna ebraica è un soggetto subalterno e la sua canzone è l'espressione passiva di tale subalternità. Evidentemente Idelsohn proiettava in questi giudizi una visione formatasi nella società dell'Europa orientale cui egli apparteneva. Oltretutto, nella sua breve trattazione delle canzoni giudeo-ispaniche, Idelsohn (1929: 376-8) non menziona il fatto che queste erano effettivamente trasmesse da donne. Apparentemente Idelsohn derivò " questi prodotti" musicali della tradizione sefardita da fonti secondarie e ci si chiede se egli abbia mai intervistato delle donne sefardite (cf. Katz 1972-5).

 

Le osservazioni di Idelsohn citate sopra riappaiono in una introduzione alla musica ebraica pubblicata di recente (Shiloah 1992: 178-180). Shiloah aggiunge alla discussione la nozione di "antichità" delle canzoni delle donne ebree, dovuta alla loro "natura arcaica", un concetto che egli prende in prestito da Béla Bartók ed Edith Gerson-Kiwi. Egli presenta inoltre un elenco di "tratti" caratteristici delle canzoni delle donne in tutte le società giudaiche. Per esempio: le canzoni delle donne sono trasmesse oralmente e perciò mancano delle caratteristiche delle canzoni scritte "che obbediscono alle regole metriche ed estetiche presenti nelle canzoni degli uomini" (Shiloah 1992: 179). I repertori delle donne sono, secondo questo punto di vista, più legati alla tradizione e più semplici rispetto a quelli maschili.

Tali dicotomie basate sul genere sono più un riflesso delle posizioni tradizionali ricevute in eredità dagli studiosi che non un'imparziale analisi delle tradizioni musicali ebraiche. E' inutile dire che anche la musica delle canzoni ebraiche maschili è trasmessa oralmente e che alcune canzoni di donne sefardite si conformano agli schemi metrici e alle "norme estetiche" della poesia.

Le donne sono assenti anche dalla ricerca letteraria sulla canzone sefardita nell'area del Mediterraneo. Per esempio uno studio edito di recente sulla letteratura orale giudeo-ispanica (Díaz-Mas 1994) discute questo repertorio in tutti i suoi aspetti senza menzionare la parola "donna", neppure nella discussione sul contesto dell'esecuzione delle canzoni. Si può solo arguire che sta parlando qui una tradizione colta orientata all'approfondimento delle radici filologiche, che esplicitamente ignora l'agente della trasmissione in favore dell'oggetto trasmesso. Come Sacks (1989: 99) aveva già argomentato, gli studiosi esaminano il sapere delle donne e la cultura materiale come se questi "non incarnassero l'espressione di un potere connesso al genere, ma fossero solo in sé degli interessanti manufatti ".

Solo recentemente il tema del genere è stato affrontato in modo approfondito negli studi sulla musica ebraica (vedi Cohen 1987; Koskoff 1987b; Weich Shahak 1997b: 15-16). Inoltre la maggior parte degli studi su musica ebraica e genere si concentra, come fanno gli studi sul genere di altre culture musicali, solo "sulla descrizione di ambiti, stili e tipi di esibizione maschili e femminili" (Herndon 1990: 26). E' ancora da fare una più profonda analisi che consideri biologia e cultura.

Riguardo alle cantanti sefardite, occorre segnalare gli studi recenti di J. Cohen (1995; 1997) sullo sviluppo di nuove strategie e contesti per l'esecuzione e la trasmissione della tradizionale canzone in Ladino nel ventesimo secolo ad opera delle donne. Cohen, che ha anche trattato del ruolo delle donne musiciste nella Spagna medievale (Cohen 1980), esamina la trasformazione dei ruoli femminili usando una tipologia che distingue le cantanti in base alla loro posizione sociale all'interno della contemporanea comunità sefardita: portatrici della tradizione, interpreti locali, interpreti esterne. Questo esame rende possibile una nuova comprensione dell'espandersi dei contesti in cui le donne sefardite possono esercitare la loro attività nel ventesimo secolo, ivi inclusi la ricerca, i concerti dal vivo, la partecipazione a programmi radiofonici e televisivi, l'incisione di dischi. Le cantanti sefardite assumono anche nuovi ruoli come quello di insegnanti di musica e, talvolta, di consulenti degli studiosi.


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